Forse una delle pagine più belle che abbia mai letto

Tanto che mi tocca smettere di leggere e copiarla.

Sebastian osservò fuori il cielo che si annuvolava. Richiamò alla mente eroi e uomini che gli erano piaciuto e ritenne che presto, prima di quanto si potesse credere, sarebbe cominciata una nuova vita, non certamente eroica, ma piena di spunti per declamare nuove poesie.

Cerco sempre qualcosa, pensò Sebastian, e sempre attendo qualcosa. Vado ovunque e mi sembra che tutto cominci senza di me. Prima mi fermava il timore e frenavo l’istinto e l’impulso di agire. Un passo di troppo, ritenevo, e la felicità sarebbe andata, perduta per sempre, ma era solo paura. Adesso è il rimpianto di essermi fermato che mi spinge a correre in avanti, ma la bellezza, forse, è già alle mie spalle.

Maledetti i sognatori che mi hanno fatto sognatore, pensò ancora Sebastian, perché devo credere ai sogni di coloro che nulla ricordano, che tutto omettono se non l’immaginazione di essere scesi nell’ignoto dell’anima. Quante volte hanno dato spiegazioni fasulle, inventate, uscite dall’imbroglio della vanità, eppure oggi mi comporto come loro. Prevedo, spiego, racconto, ma come si può entrare nell’anima delle persone se non riesco nemmeno a entrare nella mia? Come convincerli a correre oggi, per fermarsi altrove domani, lontano da questo posto, da questa terra calpestata dai padri dei padri? E se mi sbagliassi? Se li portassi al disastro, al bisogno del furto e dell’elemosina, alla perdita delle nostre usanze e della nostra leggenda? Jonela, Jonela… mi hai dato i tuoi sogni, ma anche la tua paura. Mi hai costretto ad affacciarmi nel vuoto di un’altra storia, di un’altra cultura che a quella storia ubbidisce. Jonela… Jonela sei stata un’incorreggibile canaglia, figlia della semplicità, dell’infinita rabbia e dell’oltraggio. Ti sei fatta calzolaio per farci calzare scarpe nuove e scomode, ma ci hai lasciato il fascino meraviglioso del ricordo. O Jonela, oggi non indosserai i colori e i veli delle gonne lunghe, non ci regalerai la vista di un abito azzurro e rosso e non ci darai la noia dell’abitudine. Domani passeremo invece tra le sale piene di gente annoiata, indaffarata, ostile, opprimente, sempre con la stessa espressione, uomini e donne tutti mascherati dello stesso volto, sempre a raccontare la stessa trama, incapaci di giocare, inchiodati tutti dall’oscenità dell’imbroglio e della menzogna su tavoli ordinati e puliti. Eppure dobbiamo andare e mangiare in quelle sale se vogliamo vivere. Dovremo mischiarci tra gente senza cuore e senza coscienza e piangeremo perché i nostri sogni consolatori si dissolveranno come vapori fumanti al contatto dell’indifferenza. Jonela, noi ci trasciniamo la miseria, la destrezza del furto, la furbizia di inventare, la passione del tradimento, ma anche quell’infinita dolcezza che i gagè hanno smarrito.

Sergio Pretto, Novecento Rom, CartaCanta: Forlì, 2012. (pp. 61-62)